La poesia dello sguardo di Mario Giacomelli
Nelle mie foto vorrei che ci fosse una tensione tra luce e neri ripetuta fino a significare. Prima di ogni scatto c’è uno scambio silenzioso fra oggetto e anima, c’è un accordo perché la realtà non esca come da una fotocopiatrice ma venga bloccata in un tempo senza tempo per sviluppare all’infinito la poesia dello sguardo che è per me forma e segno dell’inconscio.
Ci sono delle fotografie
stupidissime, come un cortile con un cane che mi guarda, oppure gente in
maschera fotografata in precedenza e in attesa di questa poesia, e adesso
aspettano gli occhi delle persone sensibili per uscire dal loro mutismo,
creature che aspettano occhi giusti, come erano quelli miei e quelli del poeta,
che non le facciano più essere mute.
[…] Lo spettatore è partecipe del risultato di un'immagine, perché se lui è distratto l'immagine non respira, rimane muta. Queste fotografie cercano il colloquio con coloro che hanno occhi interiori per vederle, e per capirle serve lavorare, come prima il poeta e il fotografo, e allora siamo tutti utili. Per farle rivivere, le immagini vanno interrogate, ed è una cosa grandissima, come andare a trovare un malato all'ospedale o un vecchio all'ospizio, perché in fondo tutti aspettano qualcosa e forse anche gli spettatori sono andati a vederli per questa ragione.
Le mie non vogliono essere solo fotografie, non mi interessa, io non faccio il fotografo, non so farlo, sono uno che cerca di godimenti, ma non solo per se stesso, perché in ogni caso rendo consapevoli anche gli altri e, specie con le ultime serie, ho bisogno degli altri perché voglio che l'immagine non finisca con me, ma continui a vivere con gli altri. Io sono uno che pensa che non si muoia mai davvero, e se gli altri collaborano, tutto può accadere, una volta fatte le foto anch'io divento spettatore.
[…] Lo spettatore è partecipe del risultato di un'immagine, perché se lui è distratto l'immagine non respira, rimane muta. Queste fotografie cercano il colloquio con coloro che hanno occhi interiori per vederle, e per capirle serve lavorare, come prima il poeta e il fotografo, e allora siamo tutti utili. Per farle rivivere, le immagini vanno interrogate, ed è una cosa grandissima, come andare a trovare un malato all'ospedale o un vecchio all'ospizio, perché in fondo tutti aspettano qualcosa e forse anche gli spettatori sono andati a vederli per questa ragione.
Le mie non vogliono essere solo fotografie, non mi interessa, io non faccio il fotografo, non so farlo, sono uno che cerca di godimenti, ma non solo per se stesso, perché in ogni caso rendo consapevoli anche gli altri e, specie con le ultime serie, ho bisogno degli altri perché voglio che l'immagine non finisca con me, ma continui a vivere con gli altri. Io sono uno che pensa che non si muoia mai davvero, e se gli altri collaborano, tutto può accadere, una volta fatte le foto anch'io divento spettatore.
Felicità
raggiunta, si cammina
Eugenio Montale
Felicità
raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
Eugenio Montale
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
Si può vedere la mostra a Palazzo Reale fino al 7 settembre 2025.
Qui tutte le informazioni.
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