Mariù e Nick. Due bambini fuori dalle righe

 


Mariù e Nick sono i protagonisti di due spassosi romanzi per bambini e ragazzi: “Le rime di Mariù” di Arianna Giorgia Bonazzi (edito da Mondadori) e “Drilla” di Andrew Clements (edito da Bur).

Due storie di cui siamo venuti a conoscenza leggendo il testo di Bonazzi “Dizionario segreto d’infanzia” (edito da Topipittori), un libro scritto con il linguaggio estatico e fluttuante del bambino che parla e si lascia parlare (Zolla, 1994) da una lingua segreta, aderente alla sua anima, alle cose e al mondo. Un linguaggio non ancora civilizzato, uniformato al “lessico dei social network, del marketing emozionale e dell’ortodossia identitaria e quello conformista e indignato del politicamente corretto” (Bonazzi, 2024, p.22) o irregimentato in categorie di fatti ed emozioni. Un linguaggio lontano dal reale, separato da strati di polpa insapore dal nocciolo delle cose, dal nucleo atemporale di infanzia seppellito a irraggiungibili profondità da un’educazione avvilente, moralista e coercitiva (Zolla, 1994).

Bonazzi giocherella con le parole, come faceva da bambina e come fanno Mariù e Nick.

Mariù è una bambina che ama parlare solo in rima, “sputacchia rime, balbetta rime, soffia nel fazzoletto, spruzza rime nel latte con la cannuccia e… piange anche rime!” (Bonazzi, 2018, p.7). Come ci si può aspettare, Mariù è diagnosticata una bambina speciale, la sua specialità poetica è considerata una malattia che viene curata da sedicenti quanto ridicoli dottori con una buona dose di medicine (Normucil, Normalina, Normofen e il terribile Normo H) e con varie e strampalate terapie riabilitative (zumba al buio, sci su sale, yoga sott’acqua, lancio del sentimento). Secondo gli adulti che dovrebbero prendersi cura di lei e accompagnarla nella scoperta della sua identità, Mariù è una bambina impertinente, sbagliata, malata, speciale perché diversa dalla conformità. Secondo i bambini che mantengono intatto l’incanto della conoscenza, la curiosità e la scoperta del mondo, la poesia non è una malattia, è solo una specialità, come quella di ogni altro bambino, “come gli occhi-color-lago di Santiago” (ivi, p.66).

Normale non esiste,
normale è solo triste.
Ogni persona ha
la sua specialità!
[…]
Stop malattie inventate!
Stop corsi di karate!
Vogliamo la libertà
di essere come ci va!

Nick è un bambino con un sacco di idee, difficilmente inquadrabile nella categoria dei bambini bravi, così come quella dei bambini buoni e neppure in quella dei bambini cattivi. Nick è semplicemente un bambino che osserva e conosce attraverso la capacità immaginativa, percepisce il reale non fermandosi alla sua mera semplificazione in categorie prestabilite, come fa il venerato dizionario dell’inossidabile professoressa di lingua Mrs. Granger, ma lo amplifica e lo trasforma in altri possibili reali, intimi e vicini al proprio essere e sentire, potenti e in grado di generare cambiamenti (Antonacci, 2025). Così un giorno, Nick decide di modificare la convenzione inviolabile imposta dal dizionario e incomincia a chiamare una penna “drilla”. Come prevedibile, in un batter d’occhio, tutti i bambini iniziano a utilizzare quella parola nuova, diversa, buffa generando un grande trambusto non solo a scuola ma in tutta la piccola cittadina di Westfield. Nonostante i tentativi punitivi contro il complotto di Nick o di sfruttamento giornalistico ed economico del marchio “Drilla” da parte degli adulti, la parola si diffonde e risuona tra i bambini di ogni parte del mondo.

drilla s.f. oggetto usato per scrivere o tracciare segni con l’inchiostro; [neologismo; creato da Nicholas Allen, americano, nel 1987 - (vedi penna)]

Per approfondire
Antonacci F. (2025), Puer Ludens. Poetica e politica del gioco, Milano: FrancoAngeli.
Bonazzi A.G. (2018), Le rime di Mariù, Milano: Mondadori.
Bonazzi A.G. (2024), Dizionario segreto d’infanzia, Milano: Topipittori.
Clements A. (1997), Drilla, Milano: BUR.
Zolla E. (1994), Lo stupore infantile, Milano: Adelphi.

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