The Repairman - Storia di un riparatore
Scanio Libertetti è il
nome del protagonista del film The
repairman del regista Paolo Mitton, uscito in questi giorni nelle sale cinematografiche
a distanza di tre anni dalla sua conclusione.
Scanio, che si priva
della “A” dell’aura mitologica di combattività e potenza, è una figura ambigua, marginale ed emarginata,
difficilmente inscrivibile nella
categoria economica e vitale dell’occupabilità, che sembra non volersi adeguare e incanalare
nella logica della crescita, della produzione e del consumo, nella frenetica e
ossessiva corsa dell’esistenza. Si muove goffo e sgraziato come l’anatra dell’immagine
iniziale del film che in un battito lento e faticoso finisce con l’andare a sbattere contro i
tralicci dell’alta tensione per poi tentare di riprendere il suo volo.
Scanio è un ragazzo che
non ha finito l’università, è disoccupato, rifiuta un lavoro in un “bunker”
industriale, vive mantenuto da una fidanzata che amorevolmente proverà a
cambiarlo, è considerato uno sfigato dai suoi amici che lo vorrebbero efficiente
e inserito nella piccola società della provincia piemontese e italiana. Insomma,
un perdente inoccupato e perdigiorno, un adulto visto con diffidenza e
marchiato con il sigillo dell’immaturità e della puerilità.
Ma Scanio è anche e
soprattutto un riparatore, un inventore, gioca con le sue invenzioni, è immerso
e rapito nel flusso della sua creatività,”un’esperienza di flow” – direbbe Mihaly
Csikszentmihalyi - uno stato di estaticità che lo conduce
in una realtà differente dove l’esistenza e l’io sono momentaneamente sospesi
per lasciare spazio alla facoltà immaginativa. Scanio ha le spalle basse e abbassate
non per rassegnazione ma per rientrare in contatto con le cose, con la realtà per
ricrearla, per aggiustarla, per ridargli vita. Non a caso l’unica persona che
sembra sostenere e incoraggiare Scanio è lo zio, che come il nipote si dedica a
un lavoro artigianale con un assistente un po’ ritardato.
Scanio è un puer ludens, figura della sovversione che
sceglie e si lascia scegliere dalla libertà, l’inutilità e la magia dell’immaginazione
ludica che portano a superare la necessità dell’accettazione sociale e a
continuare a giocare la vita.
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