“Figlio di nessuno” – Un’altra immagine di infanzia.
Figlio di nessuno
è l’opera prima del regista serbo Vuk Rsumovic, presentato in qualche rara e “atipica”
sala cinematografica in questi giorni (al cinema Beltrade a Milano).
È
un primo e prezioso film che vogliamo segnalare in questo blog perché le sue
immagini pregne di luci e ombre, silenzi ancestrali interrotti da spari, sguardi
ferini che illuminano la notte ci restituisce un’altra immagine di infanzia.
Il
bambino cresce selvaggio: è sporco, non sa mantenere la posizione eretta, non
parla, gioca, morde e ringhia e partecipa integralmente di quanto lo circonda. È
in contatto con la natura e le prime immagini del film mantengono uno sguardo
basso sulla terra in cui si rotola, che annusa e in cui trova riposo e rifugio.
Poi
lentamente l’inquadratura sale in verticale quando il bambino viene raddrizzato
dallo sguardo educativo che lo imprigiona in un riformatorio, corregge il suo
essere in-fante facendogli perdere la capacità di parlare e di ascoltare il
discorso della natura. Lo costringe ad indossare un paio di scarpe che lo condurranno
verso una guerra di cui non comprende le ragioni.
Così come è ambigua l’immagine
finale del film che forse apre alla possibilità di ritrovare queste dimensioni e ritornare alla terra o forse, il
lupo che si allontana dopo aver visto dentro il suo sguardo l’uomo indica la
perdita definitiva dell’animalità e dell’infanzia.
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