"Coraline" di Neil Gaiman


Quando hai paura di fare qualcosa, ma la fai comunque, quello è coraggio.

Coraline è una bambina che si trasferisce con i suoi genitori in una vecchia e grande casa situata in un edificio abitato da personaggi alquanto bizzarri: due anziane e veggenti attrici e un “vecchio pazzo” che ammaestra un circo di topi.
Coraline si annoia nella nuova abitazione, i suoi genitori non fanno altro che lavorare e indaffarati e distratti suggeriscono alla bambina di contare tutte le porte e le finestre oppure fare un elenco di tutte le cose blu. Ben presto la catalogazione degli oggetti si rivela un gioco sterile e poco interessante e Coraline  inizia a esplorare la casa. Scopre che una porta, la quattordicesima, dà su un muro di mattoni oltre il quale si apre un corridoio scuro.
Coraline ha paura ma si fa coraggio e decide di immergersi nel buio, di vivere un’avventura extra-ordinaria, di sottrarsi allo sguardo adulto che vieta, “urla e strilla”, “non dice cose sensate” e ha perduto irrimediabilmente il tempo della noia e del gioco.
Coraline apre la porta dell’immaginazione e scopre un mondo illusorio, dell’inlusio (l’essere nel gioco), doppio del reale che letteralmente la seduce e la rapisce, la diverte e la impaurisce, la mette alla prova per restituirla trasformata. E insieme a lei il lettore, a patto che compia la fatica di sospendere momentaneamente il proprio ego giudicante e borioso per lasciarsi stupire e meravigliare, per attraversare con la bambina l’oscurità necessaria e trovare un varco verso un mondo rigenerato dall’immaginazione ludica (Antonacci, 2012).

Il gatto sbadigliò lentamente e con attenzione, rivelando una bocca e una lingua di un rosa sorprendente.
«I gatti non hanno nome» disse, «No?».

                                                           «No» disse il gatto. «Voi persone avete il nome. E questo perché non sapete chi siete. Noi sappiamo chi siamo, perciò il nome non ci serve». 

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