Il più grande fiore del mondo di José Saramago

"Le storie per l’infanzia devono essere scritte con parole molto semplici, perché i bambini sono ancora  piccoli, e quindi conoscono poche parole e non amano usare quelle complicate.
Magari sapessi scrivere storie così, ma non sono mai stato capace di imparare, e mi dispiace".
Saramago J., Il più grande fiore del mondo, FeltrinelliKIDS, Milano, 2011, p.7.






Così Saramago incomincia una storia che avrebbe voluto scrivere se avesse re-imparato a scegliere parole dense ed essenziali, a ritrovare la pazienza infinita per parlare in maniera chiara e diretta ai bambini, a reimmergersi “in quel gioco infinito che il tempo sublime, ampio e profondo dell’infanzia ha concesso a tutti noi”(Ivi, p.13).
E allora, con umiltà e geniale semplicità - scusandosi della vanità del suo sguardo egoico -  condensa in una poesia il “riassunto di una storia” che ha per protagonista un eroe-bambino che si allontana dalla sicurezza del suo contesto famigliare e domestico per esplorare il mondo. Attraversa la terra, giunge su un altro pianeta e trova un fiore abbacchiato e appassito di cui si prende cura ripetendo centinaia di volte un gesto minuto e salvifico che ri-genera l’uomo, il mondo, il più grande fiore del mondo. L’infanzia.






“Ecco il racconto che avrei voluto raccontare. Mi dispiace tanto di non saper scrivere storie per ragazzi.
Ma almeno ora sapete come sarebbe stata la storia e potrete raccontarla in maniera diversa, con parole più semplici delle mie, e forse un domani saprete scrivere storie per ragazzi…
Chissà se un giorno mi capiterà di leggere di nuovo questa storia, scritta da te che mi stai leggendo, ma molto più bella?...”(Ivi, p.29)

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