"Little Miss Sunshine" di Jonathan Dayton e Valerie Faris

Una bambina (Olive) ipnotizzata dallo schermo televisivo rivede più e più volte l’incoronazione di Miss America cercando di imitarne l’espressione artefatta di giubilo.
Un uomo (papà di Olive) proclama in maniera esageratamente forzata, a un esiguo pubblico, i nove passi necessari per riappropriarsi della propria vita e diventare sempre e ovunque vincenti.
Un ragazzo (fratello di Olive) compie flessioni, torsioni, salti, celebra il culto del corpo e della fisicità sotto la gigantografia di Nietzsche.
Un uomo anziano (nonno di Olive) si chiude furtivamente in bagno per sniffare eroina.
Una donna (mamma di Olive) corre in auto fumando, guidando, parlando al cellulare, discutendo, mentendo.
Un ultimo uomo (zio di Olive) è seduto su una carrozzina in attesa di essere dimesso dall’ospedale dopo un tentato suicidio.



Questa è la presentazione, nelle prime scene del film, dei bizzarri e contraddittori personaggi di Little Miss Sunshine.
Non vi racconteremo il viaggio di questa disorientata ed emblematica famiglia, perché probabilmente molti di voi saranno già saliti con lei a bordo del pulmino giallo e scassato e conosceranno questa storia tragicomica, specchio della nostra società iperconsumista  e “macdonaldizzata” (Ritzer) che riflette e si riflette nel cinema.
Ci interessa qui segnalarvelo, e magari sarete invogliati a rivederlo, perché Little Miss Sunshine offre la possibilità di accostarci e addentrarci nelle trame dell’infanzia, restituisce l’immagine di un bambino educato dai miti di un immaginario diairetico (Durand) votato alla luminosità, alla grandezza, alla purezza e all’innocenza, dove il male, la morte, gli aspetti oscuri dell’esistenza devono essere allontanati, imbavagliati e tenuti a debita distanza.
Un’infanzia che, come suggerisce Antonacci,  viene educata da un dispositivo che esercita forme di violenza sottili e ipocritamente celate, come “i concorsi di bellezza per baby miss, nei quali il mondo adulto contemporaneo officia i suoi riti peculiari, predisponendo un articolato apparato cerimoniale di adorazione idolatra del corpo”.  


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