Diplomati all'Asilo Nido. La pervasività della valutazione
L’atto
separatore e sanzionante (Foucault, 1993) dell’esame universitario può rivelarsi,
in talune occasioni, un momento di approfondimento e arricchimento reciproco nel dialogo e confronto,
seppur imposto e non richiesto, con gli
studenti.
La
scorsa settimana durante un accaldato e poco affollato appello estivo,
discorrevo, nel fecondo intreccio tra teoria e prassi, con una studentessa e
educatrice di asilo nido.
A partire dalle riflessioni
di Peter Gray (2015) che invita a riguardare e ripensare criticamente le nostre
pratiche e il nostro immaginario educativo e scolastico, la studentessa provava
a indagare le consuetudini di una prassi molto diffusa, ahimè anche all’asilo
nido: la consegna del diploma a bambini travestiti da piccoli accademici in una
lunga e incomprensibile parata, “selfata” e istantaneamente replicata su ogni social dai genitori.
Quali immagini dell’educare
e del valutare si celano, non troppo nascostamente, dietro questa cerimonia
selettiva e classificante? Perché un bambino di tre anni, che essenzialmente e
primariamente gioca, dovrebbe essere valutato e elevato a individuo bravo,
meritevole e laborioso? (Antonacci, 2009) Perché il passaggio alla
scuola materna, e poi alla scuola primaria, deve essere celebrato con un
rituale adulto e vuoto di significato per i bambini? È
forse
per questo motivo che i bambini della fotografia, imbellettati e mascherati, ci
stanno facendo una pernacchia?
Non
si tratta, ancora una volta, di decretare ciò che è “giusto” o “sbagliato”, ma
è fondamentale e urgente mantenere costantemente uno sguardo critico sulle teorie e sulle
immagini che guidano le nostre pratiche. Allora si potrebbero pensare
altre possibilità per ritualizzare il passaggio, per esperire e rielaborare le
emozioni contrastanti che abitano la fine e l’inizio di un percorso educativo.
Il teatro, la danza, il gioco, la musica, la pittura possono aprire spazi di
incantamento, al riparo da sguardi classificanti e giudicanti, nel
coinvolgimento di mente/corpo, cognitivo/affettivo. Saranno così i bambini, con
le educatrici, a restituire il senso del percorso con un linguaggio
ulteriore, che si avvicina maggiormente alla poesia che alla matematica, all'esperienza autentica che a un cerimoniale performativo, a uso e consumo degli adulti.
E, alla fine del post, vi state forse chiedendo quale voto ha preso la studentessa qui citata. Non credo, con Foucault (1993), che la potenzialità di una persona possa essere misurata, standardizzata e incasellata dentro un valore numerico ma restituita e alimentata dal fuoco balsamico dell'incontro educativo.
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