La metafisica di Minecraft

Minecraft è un gioco molto diffuso, al punto che molti ragazzini tra i 10 e 15 anni se non ci hanno giocato ne hanno almeno sentito parlare dagli amici. I 70 milioni di giocatori paganti sulle varie piattaforme lo rendono il terzo videogioco più venduto nella storia. Senza contare che la versione per PC se giocata da solo non richiede acquisti, è gratis, per cui non si sa quanti altri giocatori non paganti esistano nel mondo.

Non mi interessa però fare una valutazione economica o commerciale del prodotto, e nemmeno tecnica. Vorrei sviluppare una riflessione puramente ermeneutica e esperienziale. Perché credo che questo successo sia anomalo dal punto di vista tecnico e commerciale. Infatti giochi con un successo simile solitamente hanno caratteristiche tecniche e investimenti commerciali ben diversi.

Questo gioco nasce dal lavoro di un brillante programmatore svedese, Markus "Notch" Persson, non da una grande azienda con un progetto ambizioso. L’idea di fondo che ha ispirato Notch non è a mio avviso una semplice idea di Business molto azzeccata. La meccanica e l'estetica, oltretutto, le ha copiate da un altro gioco chiamato Infiniminer, che doveva essere competitivo e a squadre. Ma quello che Notch ha realizzato non è di fatto solamente un gioco.

Se si analizza l’esperienza di gioco di Minecraft, esistono diversi elementi esteriori comuni a molti altri prodotti: ambiente 3D, mondi virtuali, costruzione e manipolazione di oggetti, sopravvivenza, traguardi da raggiungere, costruzioni… Ma tutti questi elementi in Minecraft non sono caratteristici, sono solo aspetti esteriori, abbastanza familiari a chi frequenta i videogiochi, come un linguaggio di base, comune a tutti i giocatori.

Quello che caratterizza in modo particolare Minecraft è il fatto di non avere una meccanica chiusa (come invece era in Infiniminer). La meccanica è minimale e aperta in due direzioni. La prima, più elementare, è la direzione interna al sistema: puoi fare ciò che vuoi, sei completamente libero (niente squadre o competizioni). Ci sono dei traguardi, ma non sono vincolanti in alcun modo e puoi ignorarli. Puoi vivere dentro il tuo mondo facendo solo quello che ti passa per la mente.

La seconda direzione è esterna al sistema e consiste in estensioni che un discreto programmatore può costruire per fare in modo che nel gioco compaiano nuovi oggetti e meccanismi di gioco. Perciò esistono molti server su cui si possono giocare giochi tradizionali come nascondino o guardie e ladri, ma anche riproduzioni di altri videogiochi multiplayer con innumerevoli varianti. In questo senso è simile a una vera e propria piattaforma per lo sviluppo di videogiochi.

Il motivo del successo è secondo me dato da questa estrema libertà. I ragazzi la intuiscono immediatamente e vi trovano ciò che manca, in modo drammatico, nella esperienza del mondo che la società odierna offre loro. Uno spazio infinito da esplorare e modificare a piacere, orizzonti senza limiti, regole semplici e minimali. Questo è quanto di più seducente si possa offrire oggi loro in termini di escapismo. E in definitiva forse è il più aggiornato succedaneo tecnologico della trascendenza.

Diventa allora interessante analizzarne uno strato più profondo, che richiede un’ermeneutica del gioco come se fosse qualcosa di più simile a un testo, o meglio a un sistema di segni. Minecraft in effetti è un dispositivo multifunzionale, combinatorio e semantico. Come un sistema di segni può essere la base di innumerevoli linguaggi, così Minecraft è la base per innumerevoli giochi.

Un gioco che ha dei tratti in comune con il linguaggio è forse il Go, un antico gioco sino-giapponese con regole semplicissime ma innumerevoli possibili sviluppi che lo hanno reso per decenni la sfida più ardua per l’intelligenza artificiale (solo nel Marzo del 2016 il software AlphaGo  è riuscito a battere il campione del mondo Lee Sedol). Ma rispetto a un tavoliere di legno con qualche centinaio di pietre di ardesia e di conchiglia, materiale disponibile anche 4 mila anni fa per chi lo inventò, oggi l’elettronica offre molto di più.

Se Minecraft è quindi un sistema semantico, quale è la metafisica sottesa ad esso? In primo luogo è dato un rapporto con l’essere, stilizzato ma preciso nell’essenza: il mondo è fatto di enti a disposizione del soggetto: risorse, più o meno docili o minacciose, ma alla fine dominabili. Questa è una metafisica vecchia e ormai entrata nel senso comune assieme al dominio della tecnica.

In secondo luogo il mondo esiste solamente quando viene esplorato. Questa è già una prospettiva molto più recente, che potremmo far risalire al fisico Niels Bohr secondo il quale la Luna esiste solo quando un osservatore la guarda (può sembrare una battuta ma è proprio il modo paradossale con cui hanno sintetizzato il problema lui e Albert Einstein in una discussione sulla intima natura del mondo fisico). Secondo la fisica quantistica del secolo scorso la permanenza ingenua degli oggetti nell’universo non è più un dato così scontato. Abbiamo qui una corrispondenza con la metafisica sottesa alla fisica più recente. Forse le nuove generazioni stanno assimilando questa concezione della realtà proprio attraverso una esperienza del mondo sempre più mediata dalla rete mondiale dei dispositivi elettronici.

In terzo luogo esistono gli altri giocatori, con le loro interferenze nelle nostre azioni e nei nostri obiettivi, senza vincoli dettati da regole stringenti di una meccanica di gioco predeterminata, come avviene nei comuni videogiochi. Si interagisce come nella vita reale, con il massimo di libertà e imprevedibilità. E quindi si apre uno sconfinato territorio di negoziazione e conflitto etico e psicologico. Questa prospettiva è forse rintracciabile come il terreno della “metafisica dell’altro” di Emmanuel Levinas che non a caso si è sviluppata nel periodo di decostruzione dell’oggettualità fisica classica.

In definitiva questo meta-gioco credo abbia successo perché fornisce uno strumento semantico di rappresentazione della realtà esperienziale che è qualitativamente adeguato al livello di comprensione dell’essere proprio della nostra civiltà attuale. Oltretutto nella forma del gioco, cioè senza le gabbie sociali e mentali che la famiglia, la scuola e i media infliggono sistematicamente ai ragazzi.

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