Di disabilità si può e si dovrebbe parlare, oggi come ogni giorno


Quasi ogni giorno si celebra una giornata internazionale per qualcuno o per qualcosa. Da qualche tempo mi interrogo sulle modalità di commemorazione di eventi, date, persone e diritti che spesso si rivelano forme di dimenticanza più che di memoria, rituali svuotati del loro significato che non commuovono più, nel senso etimologico di “muovere con” e verso una riflessione partecipata e condivisa sul presente.
La rapida, sovrabbondante ed evanescente celebrazione mediatica sembra nascondere una distanza dal vicino e una vicinanza dal lontano (Zoja, 2009) che intrattiene ma non turba, se non per istanti fugaci, fa gioire o patire appartati.

Oggi, 3 dicembre, si celebra la giornata internazionale delle persone con disabilità. Qualche anno fa Franco Bomprezzi proponeva una giornata di silenzio e di ascolto per vedere e provare a comprendere la condizione di disabilità e 364 giorni per parlare e agire, “con i fatti, con le delibere, con leggi, con gli stanziamenti, con le buone prassi, con i diritti”. In questo silenzio partecipato vorrei proporre la lettura condivisa di un libro per tutti, come rituale comunitario che dovrebbe essere celebrato oggi come ogni giorno dell’anno.


Noi. Testo di Elisa Mazzoli. Illustrazioni di Sonia MariaLuce Possentini, Bacchilega Editore, Imola, 2013.
 
Noi di Elisa Mazzoli è un libro poetico, con immagini meravigliose di Sonia Possentini che raccontano l’incontro con la diversità, con un bambino che nessuno avvicina mai perché ha un occhio sproporzionato da cui scende una bava appiccicosa che “fa schifo”. Occhione, così è stato soprannominato il bambino, è il “diverso” escluso perché non compatibile con le regole implicite dell’efficienza e della performatività esaltata.
 
Noi corriamo dappertutto.
Lui invece cammina a piccoli passetti.
Noi stiamo insieme, parliamo, giochiamo.
Lui invece sta da solo e scava, scava, scava…
Un buco al giorno.
Ha sempre le mani sporche.
 
 

Noi consente ai bambini di venire in contatto con le emozioni, anche quelle più inquietanti e turbolente, che possono provare nell’incontro con la disabilità e perciò di prenderne consapevolezza e rendersi disponibili all’incontro con l’inatteso, che non può che ampliare e arricchire lo sguardo di ognuno.
 
... e io ho avuto il coraggio di alzare lo sguardo.
Con il suo occhio piccolo lui mi vedeva.
L'occhio grande invece era puntato verso il cielo.
Ha detto "Io mi chiamo Filippo. E tu?"
"Anch'io" ho risposto, "anch'io mi chiamo Filippo."


Commenti