Il libro dei bambini soli




Enrico Sibilla, Il libro dei bambini soli, ilSaggiatore, Milano, 2016

Il bambino è un punzone che preme, e fora la carta, bruciando la carne.

Il bambino, suggerisce Bachelard (1993), è la possibilità solitaria di immaginare e sperimentare un’esistenza senza limiti, è un nucleo atemporale che permane nell’animo umano. Il bambino, prosegue Zolla (1994), è un tesoro seppellito a irraggiungibili profondità da un’educazione avvilente, moralista e coercitiva; soltanto qualcuno, rarissimo, sa immergersi nelle prime memorie, “rivive quei lembi remoti e annebbiati” per ricontemplarne lo splendore.
Enrico Sibilla nel suo esordio Il libro dei bambini soli si inabissa nella materia d’infanzia, da cui proveniamo e da cui progressivamente ci allontaniamo, per restituirci il bambino archetipico, groviglio di simboli che tiene insieme aspetti opposti e ambivalenti e per questo crea spaesamento e lo spostamento in un luogo altro. Il luogo possibilitante  della solitudine è il puro presente delle ore d’infanzia (Rilke, 2001), è la dimora salfivica e oscura dell’immaginazione creatrice, è una soglia da oltrepassare e a cui ritornare, è una dimensione esistenziale e ineludibile, umana e animale, che ferisce e guarisce la nostra carne.
Il bambino solo preme come un punzone e segna ritmicamente e poeticamente la carta bianca di questo libro capace di intrecciare e ricucire gli aspetti ambivalenti, conturbanti, potenti e misteriosi del bambino.









 

 
 



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