Il bambino, suggerisce
Bachelard (1993), è la possibilità solitaria di immaginare e sperimentare un’esistenza
senza limiti, è un nucleo atemporale che permane nell’animo umano. Il bambino,
prosegue Zolla (1994), è un tesoro seppellito a irraggiungibili profondità da
un’educazione avvilente, moralista e coercitiva; soltanto qualcuno, rarissimo, sa
immergersi nelle prime memorie, “rivive quei lembi remoti e annebbiati” per
ricontemplarne lo splendore.
Enrico Sibilla nel suo esordio
Il libro dei bambini soli si inabissa
nella materia d’infanzia, da cui proveniamo e da cui progressivamente ci allontaniamo,
per restituirci il bambino archetipico, groviglio di simboli che tiene insieme
aspetti opposti e ambivalenti e per questo crea spaesamento e lo spostamento in
un luogo altro. Il luogo possibilitante
della solitudine è il puro presente delle
ore d’infanzia (Rilke, 2001), è la dimora salfivica e oscura dell’immaginazione
creatrice, è una soglia da oltrepassare e a cui ritornare, è una dimensione
esistenziale e ineludibile, umana e animale, che ferisce e guarisce la nostra
carne.
Il bambino solo preme
come un punzone e segna ritmicamente e poeticamente la carta bianca di questo
libro capace di intrecciare e ricucire gli aspetti ambivalenti, conturbanti,
potenti e misteriosi del bambino.
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