La guerra dei cafoni
Torrematta
è un luogo che non si trova sulle carte geografiche, è uno spazio circoscritto
e collocato nella realtà eppure distinguibile da essa, è il campo di battaglia
della guerra dei cafoni.
A
Torrematta, ogni estate, si svolge il gioco della guerra, il conflitto atavico tra i cafoni e i signori guidati
rispettivamente da Scaleno e da Francisco
Marinho, detto il Maligno. Ogni banda
possiede una bandiera da difendere, un fortino in cui proteggersi e elaborare
strategie di attacco, dei confini che non possono essere violati, spade, armi
di legno e meduse da gettare contro i nemici, un linguaggio condiviso, dei nomi
simbolici che istituiscono dei ruoli all’interno del gruppo (Prosperu,
Culacchio, Mucculone, Tedesco, Merendina, Pavesino, Calimero, Elvis, Sorso di
Mieru, Telefunken, Cibalgina, Toshiro Mifune, Zanzarina, Tonino, Tippetappe). In ogni banda è presente una figura
femminile, Mela (la cafona) e Sabbrina (la signora), intorno a cui ruotano e si
muovono, sospinti da Eros, i giovani adolescenti. Ognuna delle ragazze ha un
cane: Sabbrina un peluche e Mela Mosè, amico fidato, guida e custode dell’aldilà.
La guerra dei cafoni è un gioco che viene
messo in scena e si perpetua dalla notte dei tempi con il solo scopo di giocare,
lottare, esperire il conflitto, la violenza e l’aggressività in un contesto delimitato
e protetto, di sperimentare la propria forza e i propri limiti, la capacità di
difendersi e aggredire per ribadire e salvaguardare lo stato e la reputazione di
sé e del proprio gruppo di appartenenza. È un gioco da cui gli adulti sono
esclusi, non sono ammessi se non come spettatori.
A rompere la magica cornice ludica, a
spezzare l’equilibrio della guerra ancestrale tra cafoni e signori è Cugginu,
un estraneo che si intromette nel gioco e nelle sue logiche, ne rovescia le
regole, sconfina nella realtà e determina
l’interruzione del gioco e un finale non previsto della battagliola.
Al di là dell’ambientazione storica nell’Italia
degli anni Settanta, al di là della lotta di classe, La guerra dei cafoni ci interessa perché mette in scena la
dimensione bellica (e amorosa) dell’uomo, mai completamente afferrabile e
definibile ma necessariamente non eludibile e censurabile nei contesti dell’educare.
Il gioco della guerra, come innumerevoli altre attività di teatro, danza, giochi
di ruolo, arti marziali, è terreno indispensabile dove fare esercizio della
violenza e dell’aggressività in un contesto mediato che può trasformarla,
scatenarla, bonificarla, temperarla, riconfigurarla (Antonacci, 2012, 2013). Continuando
a negare a bambini e ragazzi lo spazio del conflitto, in base a un pregiudizio
infondato, all’allarme del pericolo e secondo una retorica della pace buonista
e stucchevole, non si permette di venire in contatto con le dimensioni
conturbanti, complesse e misteriose del nostro essere con il rischio di non
saper gestire e farci travolgere dagli effetti della violenza.
Il film, per la regia di Davide Barletti e
Lorenzo Conte, è tratto dall’omonimo romanzo di Carlo D’Amicis, edizioni
Minimum Fax.
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