Tali erano quelle bambole


"Di fronte alla bambola eravamo costretti ad affermarci, ché, se ci abbandonavamo a lei, non rimaneva allora più nessuno. Nulla essa ricambiava, così eravamo noi indotti ad assumere imprese per lei, a dividere il nostro essere a poco a poco sempre più vasto in parte e controparte, e in certa misura traverso lei staccare da noi il mondo, che indelimitato traboccava dentro di noi. Come in un alambicco mescolavamo noi in essa quanto inconoscibilmente ci accadeva, e lo vedevamo là dentro colorarsi e ribollire. Cioè, anche questo lo ritrovammo noi, essa era così smisuratamente sprovvista di fantasia, che la nostra immaginazione su di lei si fece inesauribile.
Per ore, per intere settimane, poteva appagarci l’assettare in pieghe intorno a questo immobile manichino la prima seta del nostro cuore: ma io non posso immaginare che non venissero certi pomeriggi troppo lunghi in cui le nostre sdoppiate fantasie si stancavano e a un tratto sedevamo innanzi a lei e ne attendevamo qualcosa.

R. M. Rilke in Morale del giocattolo. Rilke, Baudelaire, Kleist. Tre incursioni nell’immaginario dell’infanzia, Stampa alternativa Nuovi equilibri, 1991, pp.36-37.

 
 
Isidoro Grünhut, La bambola, 1891


Ferdinando Scianna, Sant’Elia, 1983


Harrington Mann, Detail of Annabel and Her Toys


Alain Laboile

“[…] ignave: trascinate per le mutevoli emozioni del giorno, in ognuna restavano impigliate; fatte confidenti, complici al pari di un cane, ma non come lui ricettive e obliose, bensì un peso in tutt’e due i casi; iniziate alle prime indicibili esperienze dei loro proprietari, distratte tra le loro primissime inquietanti solitudini come nel mezzo di stanze vuote, quasi solo importasse sfruttare grossolanamente con tutte le membra la nuova vastità – portate con noi nei lettini reticolati, trascinate nelle pesanti pieghe delle malattie, ricorrenti nei sogni, avviluppate nei destini delle notti di febbre: tali erano quelle bambole. Ché mai si davano esse la minima fatica in tutto questo; ma poi giacevano invece là all’orlo del sonno infantile, al più riempite del rudimentale pensiero di cadere, abbandonate al sogno; avvezze com’erano a essere infaticabilmente vissute durante il giorno con forze estranee” (Ivi, pp. 32-33).



Albert Anker, Il piccolo malato, 1878
Eliott Erwin


Friedrich von Amerling, Ritratto di Maria Francesca del Liechtestein, 1836


Mihatovići near Tuzla, September 2002

“In un tempo in cui tutti ancora si affannavano a risponderci sempre rapidamente e rassicurandoci, fu essa, la bambola, la prima che ci avvolse di quel silenzio più grande della vita, che poi sempre tornò ad alitarci dallo spazio ogni volta che in qualche luogo giungevamo ai confini della nostra esistenza. Di fronte a lei, come ci fissava, provammo noi la prima volta (o m’inganno?) quel vuoto nel sentimento, quella pausa del cuore, dove uno trapasserebbe, se poi l’intera natura procedendo oltre soavemente non lo sollevasse, come una cosa inanimata, a valicare gli abissi. Non siamo noi strane creature, che ci lasciamo andare e guidare a porre la nostra prima inclinazione là dov’essa non ha speranza?” (Ivi, p.38).




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