L'isola dei cani
al genere umano.
Brina sul vetro della finestra.
Lo
haiku è una forma poetica giapponese
che ha origini antiche. Lo haiku,
suggerisce Francesca Antonacci, è un “piccolo scrigno di parole scelte con cura
parsimoniosa e elegante”. Gli
haiku composti da Atari, un bambino
di dodici anni protagonista dell’ultimo film di Wes Anderson, condensano nella loro
semplicità e brevità il senso profondo delle immagini del film.
Atari
ha perso i genitori in un incidente ferroviario e per questo viene affidato
alle cure dello zio, un dispotico tiranno e sindaco della città di Megasaki che
ordina di isolare sull’isola Spazzatura tutti i cani del Giappone perché infettati
dal presunto “tartufo febbrile”. Atari parte, con il suo elicottero Junior-Turbo
Prop, alla ricerca del suo cane Spots e insieme agli amici cani Chief, Duke,
Rex, Boss, King che vivono tra i detriti e i rifiuti, e una giovane studentessa,
si ribellano alle autorità.
Il
bambino e l’animale sembrano rappresentare l’unica via di salvezza in un mondo
adulto che separa, respinge e allontana ciò che non è desiderabile. L’infanzia
e l’animalità sono accomunati da un sentire primordiale, da una relazione primigenia
e corporea con il mondo: ci si annusa, ci si guarda, ci si sfiora, si
percepiscono le sfumature dei suoni, siano essi parole o latrati. Ogni volta
che si avvicina un cane robot, il cane Chief non riesce a sentirne l’odore.
Tra il bambino e l’animale non si è ancora creato un distacco gerarchico, tra di
loro c’è assoluta reciprocità. E in virtù di questa relazione autentica e profonda un mondo
nuovo può fiorire.
Che
fine ha fatto
il
miglior amico dell’uomo? Caduta – Primavera – Fioritura
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