Monos. Un gioco da ragazzi



Monos. Un gioco da ragazzi è un film del 2019 del regista Alejandro Landes. Il film si ispira al romanzo di William Golding “Il signore delle mosche” (1954) e ha richiamato alla memoria alcune scene dell’omonimo film diretto da Peter Brook nel 1963 (rimandiamo, a questo proposito, al saggio di Francesca Antonacci nel testo Puer Ludens, edito nel 2012 da Franco Angeli).
Il gioco in cui si cimentano gli otto protagonisti del film è il gioco della guerra, che si svolge in una terra isolata dal resto del mondo, sulle montagne e tra le fitte giungle dell’America Latina. I ragazzi sono impegnati a difendere un ostaggio, una donna americana che semplicemente chiamano “La dottoressa”, da eventuali attacchi nemici. I giochi sono manovrati, inizialmente, da un generale autoritario (l’attore è stato per davvero un bambino soldato) di una misteriosa organizzazione che ha addestrato i ragazzi a divenire soldati.
Al di là della chiave di lettura socio-politica che vede la storia come allegoria degli scontri che hanno devastato la Colombia negli ultimi anni, a noi interessa qui esplorare la cornice del gioco. I ragazzi, nel tempo liminale tra infanzia e adultità, fanno finta di essere soldati, si travestono e truccano i loro volti e corpi con la terra, combattono tra loro con ferocia e violenza, giocano per allenarsi (stupefacente per l’ambientazione paesaggistica e l’atmosfera giocosa la scena iniziale, in cui i ragazzi giocano a calcio con una benda sugli occhi), mettono in scena, intorno al fuoco, rituali d’accoppiamento e animaleschi (monos, in spagnolo, significa scimmie), scuoiano animali, vivono in tane scavate nella terra e nelle rocce.
Ogni gesto e ogni azione sono intensificate e caricate di un significato ludico. E forse per questo rimaniamo perturbati e attoniti di fronte a un gioco che i ragazzi vivono fino alle estreme conseguenze, e quando uno di loro, colui che viene definito “il piagnucolone” proverà a uscire dal gruppo e scappare determinerà, forse, la fine del gioco.
Il finale è aperto, non si presta a facili interpretazioni e univoche soluzioni ma si insinua nello spettatore generando domande provocanti e inquietanti.



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