L'arte dell'ascolto



Dopo l’emozionante spettacolo di ieri della Prima della Scala, condividiamo le parole del regista teatrale inglese Peter Brook a proposito dell’atto del dirigere e del maestro Arturo Toscanini, che diresse, nel 1946, lo spettacolo di riapertura del teatro milanese dopo i bombardamenti del 1943. Parole che risuonano in coloro che, insegnanti o educatori, entrano quotidianamente sulla scena formativa con tutto il loro corpo, emozione e pensiero.

“Mi aveva sempre affascinato l’atto del dirigere; da bambino sognavo di essere un direttore d’orchestra.

[…] Non avevamo mai visto questo direttore leggendario ed eravamo pronti ad assistere allo spettacolare turbinio di gesti appassionati e di movimenti indemoniati per i quali Toscanini era famoso. Con nostra grande meraviglia, quella fragile figura rimase perfettamente composta, battendo il tempo soltanto con piccoli, quasi impercettibili, movimenti di una mano. E ascoltava. Ascoltava con tutta la sua vibrante immobilità tirando fuori dagli strumenti una tessitura del suono incredibilmente minuziosa, del tutto trasparente, in cui ogni filo era chiaro e presente e ogni strumentista era portato a dare molto più del suo meglio. Quest’uomo anziano, quasi immobile, era tutto attenzione e la sua mente era talmente chiara, il suo sentimento così intenso che non doveva fare altro. Soltanto ascoltare, lasciare che la musica prendesse forma per il suo orecchio interiore; il suono esterno, richiamato dal suo ascolto, corrispondeva a ciò che lui aveva bisogno di udire.

L’ascolto è un mistero. Affinché un corpo sia in grado di ascoltare senza muoversi, deve prima svilupparsi nel movimento. Non è un caso che i direttori d’orchestra vivano così a lungo; trascorrono, infatti, la vita esercitandosi continuamente e armonizzando corpo, emozione, pensiero. Lo sforzo delle prove e dei concerti fa ricorso a tutte queste parti – al loro corpo come atleti e danzatori, ai loro sentimenti come cantanti e amanti e alle loro menti come matematici e pensatori – simultaneamente e in uguale proporzione. Un corpo sviluppato in questo modo può alla fine, restare fermo e ascoltare”.

P. Brook (1998), I fili del tempo. Memorie di una vita, Feltrinelli, Milano, pp. 88-89.

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