El mundo es un balón


 

El mundo es un balón è un documentario diretto da Giulio Origlia, uscito pochi giorni fa su Nexo+.
Il film racconta il progetto sociale di Inter Campus, che si occupa, dal 1997, di restituire e garantire il diritto al gioco a bambini, tra i 6 e i 13 anni, che vivono in situazioni di povertà economica, sociale ed educativa. Inter Campus opera in 30 Paesi nel mondo e si prende cura, grazie al supporto di operatori locali, di diecimila bambine e bambini.
A partire dalla visione di questo film ci piacerebbe provare a nominare alcuni aspetti del gioco che consentono di avviare una riflessione sul rapporto tra gioco e sport e che c­­aratterizzano la peculiarità del progetto di Inter Campus, che evidentemente non ha lo scopo di autocelebrarsi quanto invece celebrare il gioco, la vita.
Se ci riferiamo alla definizione di Roger Caillois (2000), lo sport potrebbe essere identificato come una “sorta di categoria interna alla macro-categoria del gioco, una delle forme in cui il gioco si esprime” (Farné, 2010, p.15). Secondo lo studioso francese, il gioco è un’attività libera (viene scelta autonomamente e per piacere da chi decide di parteciparvi), separata (si svolge entro limiti spaziali e temporali precisi), incerta (il risultato non può essere previsto in anticipo), improduttiva (non genera profitto e ricchezza), regolata (per garantire il suo svolgimento sono previste necessariamente delle regole), fittizia (quando giochiamo abitiamo una realtà differente rispetto alla vita ordinaria).
Queste categorie, suggerisce Farné, possono essere assunte anche per lo sport a patto che venga praticato “per gioco” e non come professione.
Il gioco del calcio viene proposto ai bambini del progetto di Inter Campus non con un obiettivo professionalizzante, non si tratta di cercare nuovi campioni, ma come sottolinea Alberto Giacomini, responsabile tecnico, il calcio è un’esperienza educativa perché può offrire a tutti e a ciascun bambino una possibilità, l’opportunità di una formazione globale, di diventare «campioni nella vita» - aggiunge Julio Gonzalez, ex-calciatore che a causa di un tragico incidente ha dovuto porre fine alla sua carriera e ora collabora con il progetto.
Lo sport, suggeriscono Ferrante e Sartori (2011), facilita l’aggregazione e la socializzazione - come peraltro raccontano tutti i bambini intervistati nel film, facilita l’instaurarsi di un rapporto significativo con figure extrafamiliari e extrascolastiche, crea appartenenza e, nel medesimo tempo, rende possibile il conflitto e l’agonismo, la rielaborazione, in un contesto protetto e strutturato, di emozioni solitamente censurate nella quotidianità perchè ritenute sconvenienti, come la rabbia, la frustrazione, l’ansia, la paura. In questo senso lo sport si configura realmente come “una palestra di vita, un luogo morale, dotato di potenzialità formative ed educative straordinarie” (Navarini cit. in Ferrante, Sartori, 2002, p. 61) come testimoniato da Kasongo, un ragazzo congolese.
Kasongo racconta la sua infanzia per le strade di Lubumbashi, di essere stato marchiato e accusato di stregoneria dal patrigno. Grazie all’opportunità di entrare a far parte di una comunità di gioco e realizzare la sua grande passione per il calcio, Kasongo è stato nuovamente riconosciuto nella sua identità di bambino e incluso nella comunità del suo villaggio.
Il gioco del calcio, suggerisce Mantegazza (1999), prevede dei rituali che segnano l’ingresso nello spazio sacro del gioco (Antonacci, 2003).
“Cambiarsi è dunque il rito che demarca la quotidianità dall’extraterritorialità della partita […]; ed è anche un rito che uniforma un gruppo di persone che prima non sembravano avere particolari legami, che li fa diventare un vero gruppo […]. Oggetto-simbolo per eccellenza delle emozioni dello sport, la maglia è davvero uno straordinario centro di investimento per chi gioca e per chi tifa” (Mantegazza, 1999, pp.89-91).
La maglia nerazzurra, come testimoniato nel film, viene consegnata gioiosamente e i bambini la ricevono emozionati perché vengono riconosciuti nella loro singolarità e, al contempo, divengono parte di un gruppo. E ogni volta sono pronti a indossare la maglia e ripetere quel rituale che stabilizza la vita, che rende “la vita resistente” (B.C. Han, 2021, p.13).
I rituali, secondo le indicazioni di Huizinga, nelle società arcaiche e tribali condividono con il gioco alcuni aspetti formali: sono azioni non ordinarie, extra-quotidiane, si svolgono in un contesto spazio-temporale delimitato e separato, prevedono il travestimento attraverso l’uso di abiti cerimoniali o maschere, presentano le caratteristiche di una performance, di un’azione rappresentata davanti a un pubblico. I partecipanti al culto mantengono una disposizione che tiene insieme il credere e il non credere, viene ammessa la presenza di un mondo tangibile e presente e un altrove invisibile, ma attuale perché messo in scena, rappresentato (Antonacci, 2012). Il gioco del calcio, a Vâlcea in Romania, si svolge all’interno della Cattedrale di sale di Ocnele Mari, uno spazio dedicato al culto e che offre spazio allo svolgimento di un gioco che viene riconosciuto come fondamentale per la formazione dei bambini.
“Gioco sacro indispensabile alla salute della collettività, pregno di visione cosmica e di sviluppo sociale, e nondimeno un gioco, un’azione che si compie (come lo vide Platone) fuori e sopra la sfera della vita seria dei bisogni e delle cose gravi” (Huizinga, 2001, p.33).
Il gioco è “un terreno di incontro e scambio tra una molteplicità di individui, culture e tradizioni” (Gallelli, 2012, p.37), sui campi da calcio Inter Campus organizza partite tra ragazzi israeliani e palestinesi, figli di rifugiati e lavoratori migranti, tutti insieme a Tel Aviv.
Il gioco è come l’arte, suggerisce la cantante Noa, grande sostenitrice di Inter Campus. Il gioco è un’esperienza che, al pari dell’educazione e dell’arte, trasforma la realtà, conduce chi vi partecipa a un livello ulteriore rispetto al quotidiano. Il giocatore, come l’artista, utilizza l’immaginazione ludica che, spiega Francesca Antonacci, “è la capacità di vedere nelle cose e nel mondo le loro potenzialità inespresse, la loro bellezza nascosta, le potenzialità che non sono immediatamente riconoscibili e utilizzabili” (Antonacci, 2014, p.23).
Giocare, come l’arte, è un’esperienza trasformativa a cui si accede per il solo piacere di farlo.  
El mundo es un balón.
La palla è “un autentico catalizzatore di gioco” (Farné, 2010, p.27), la palla introduce, accanto all’agon e alla mimicry (Caillois, 2000), l’elemento di aleatorietà nel gioco del calcio quando è in volo, salta, rimbalza, non è mai del tutto controllabile dal giocatore. “In certi casi sembra persino che sia la palla a giocare con i suoi giocatori (o a prendersi gioco di loro)” (Farné, 2010, p.27).
La palla, come fa notare Farné, è l’elemento per cui chiamiamo “gioco” sport come il calcio, il tennis, il basket o il rugby (non diciamo si gioca al salto con l’asta o a nuotare i 100 metri di stile libero).
Con una palla si può giocare ovunque e in ogni momento a calcio, con o senza scarpe. È sufficiente delimitare il campo con un machete nella foresta, sulla neve, in spiaggia, vicino alle discariche di Asunción o tra «le devastazioni di una guerra troppo vicina».
Il viaggio nel mondo in cui ci ha condotti questo documentario ci ha anche permesso di uscire dal contesto in cui viviamo per riguardare le pratiche sportive che spesso vengono proposte ai nostri bambini secondo il modello indiscusso del professionismo.
Il progetto di Inter Campus sembra suggerirci di reintrodurre la dimensione ludica, “magica” nello sport, senza per questo ridurre l’attenzione sulla dimensione tecnica, né sui risultati in campo.
Per questo, come sottolinea Davide Fant, prima di tutto ci vogliono degli allenatori, come quelli di Inter Campus (con cui abbiamo avuto occasione di collaborare), che abbiano una sensibilità di tipo educativo, e che primi abbiamo voglia di divertirsi, di mettersi in gioco, di sperimentarsi.
“Forse chi sperimenta relazioni positive con i compagni di squadra, chi non sente il peso del fallimento né di aspettative indotte dall’esterno, chi conosce il senso profondo della responsabilità verso la propria comunità, chi è sereno e si diverte, sia in allenamento che in gara, chi vive la magia del proprio sport, del proprio corpo e del suo ritmo, potrebbe alla fine anche vincere"… (Fant, 2017, pp.6-7).


Antonacci F. (2012), Puer Ludens. Antimanuale per poeti, funamboli e guerrieri, Franco Angeli, Milano.
Antonacci, F. (2014), L'immaginazione ludica, un potere che trasforma, in M. Bertolo, & I. Mariani (a cura di), Game Design - Gioco e giocare tra teoria e progetto (pp. 23-36), Milano – Torino, Pearson Italia.
Caillois R. (2000), Les jeux et les hommes. Le masque et le vertige (1976), tr. it. I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bomoiani, Milano.
Farné R. (a cura di) (2010), Sport e infanzia. Un’esperienza formativa tra gioco e impegno, Franco Angeli, Milano.
Fant D.; F. Milan (2017), Autonomia, arte e magia: per uno sport che educa al cambiamento.
https://www.academia.edu/32200442/Autonomia_arte_e_magia_per_uno_sport_che_educa_al_cambiamento
Ferrante A., & Sartori, D. (2011), Per un'analisi del dispositivo strutturale dell'educazione sportiva, CQIA RIVISTA, 54-65.
Gallelli R. (2012), Educare alle differenze. Il gioco e il giocare in una didattica inclusiva, FrancoAngeli, Milano.
Han B.C (2021), La scomparsa dei riti. Una tipologia del presente, Nottetempo, Milano.
Huizinga J. (2001), Homo ludens (1946), tr. it. Einaudi, Torino.
Mantegazza R.(1999), Con la maglia numero sette, Unicopli, Milano.
 

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