Le vie dell’immaginario - Fellini: della stessa sostanza dei sogni.
Le parole che accompagnano le fotografie sono tratte dal testo di Federico Fellini, Fare un film (1980), Edizioni Einaudi (2015), Torino. Con l’Autobiografia di uno spettatore di Italo Calvino.
“Fino al
liceo non mi sono mai posto il problema di cosa avrei fatto nella vita; non
riuscivo a proiettarmi nel futuro. Pensavo alla professione come a una cosa che
non si poteva evitare, come la messa alla domenica. Non ho mai detto: «da
grande farò!». Non mi sembrava che sarei diventato grande e in fondo non ho
neanche sbagliato” (Fellini, p.41).
[…] In un vicoletto dove passavo sempre per andare a fare ripetizione (dovevo andare a ripetizione tutto l’anno perché a scuola non imparavo niente) c’era Amedeo, un ometto sdentato che canticchiava a bassa voce e faceva dei bellissimi lavori in cuoio. Amedeo mi aveva preso in simpatia e mi regalava i ritagli che finivano sotto il bancone. Più avanti c’erano due fratelli gemelli, falegnami (si distinguevano perché uno era sordo e l’altro fischiava); anche nella loro bottega mi piaceva passare del tempo e portavo via delle tavolette di legno dolce. Insomma se ci ripenso mi pare che per me la fantasia è sempre legata al lavoro artigianale.
Non mi sono mai appassionato ad altri giochi all’infuori dei burattini, dei colori e delle costruzioni in cartoncino, quei disegni in pianta e prospettiva che si ritagliavano e s’incollavano. Per il resto, niente: mai dato un calcio a una palla. Mi piaceva anche star chiuso nel gabinetto per ore ed ore, mettermi la cipria in faccia e mascherarmi con baffi di stoppa, barbe, sopracciglioni metafistofelici, e basettoni disegnati col sughero bruciato” (Fellini, pp.41-42).
“Penso
che tutti da bambini abbiamo con la realtà un rapporto sfumato, emozionale,
sognato; tutto è fantastico per il bambino, perché sconosciuto, mai visto, mai
sperimentato, il mondo si presenta ai suoi occhi totalmente privo di
intenzioni, di significati, vuoto di sintesi concettuali, di elaborazioni
simboliche: è solo un gigantesco spettacolo, gratuito e meraviglioso, una sorta
di sconfinata ameba respirante dove tutto abita, soggetto e oggetto, confusi in
un unico flusso inarrestabile, visionario e inconsapevole, affascinante e
terrorizzante, dal quale non è ancora emerso lo spartiacque, il confine della
coscienza” (Fellini, p.87).
“Non si
tratta di restare in perenne contemplazione delle proprie fantasie infantili. L’importante
sarebbe ritrovare sul piano della consapevolezza la facoltà visionaria. Proprio
perché è una delle possibilità della natura umana e non c’è ragione di privarsene”
(Fellini, p.88).
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