Giulia. Una selvaggia voglia di libertà
Giulia. Una selvaggia
voglia di libertà è il terzo film del regista Ciro de Caro,
presentato lo scorso anno alle Giornate degli Autori al Festival del Cinema di
Venezia e uscito in questi giorni nei cinema.
Giulia
è una giovane donna alla ricerca di un lavoro, appena lasciata dal fidanzato
non ha una casa dove alloggiare. Giulia è Giulia, nel colloquio di lavoro che
costituisce l’incipit del film, la ragazza fatica a definirsi, sembra essere
incerta e, forse impaurita, dai suoi sogni, si limita a dire «sono io».
Giulia è una ragazza a testa in giù, come appare nella locandina del film, si muove a zig-zag sullo sfondo di paesaggi assolati e luminosi senza una meta predefinita ma ricercando la sua alterità, si ferma ai bordi delle strade per raccogliere e recuperare giocattoli che vengono abbandonati ai piedi dei cassonetti della spazzatura, li manipola, si lascia incuriosire, giocare e interrogare da essi. Giulia è forse una puella ludens.
Prova a fare l’animatrice in un centro anziani, gioca con loro, canta, balla. Incontra due ragazzi che l’accolgono nel loro appartamento e non la giudicano o etichettano come “strana”, ma le stanno accanto forse perché accomunati dalla sua stessa sensibilità, inafferrabilità e insicurezza.
Crediamo che Giulia sia un film necessario e importante per riequilibrare un immaginario unilaterale che punta senza tregua i riflettori sulle vite ideali di donne e uomini “arrivati”, riusciti, risoluti che esibiscono e creano le loro vite sui social media. È un film che disvela e disocculta le contraddizioni del reale, si lascia condurre dall’inquietudine esistenziale della ragazza che fluttua tra la crisi sanitaria, economica, personale.
Il regista si lascia stupire da ciò che accade e racconta la complessità, la problematicità e l’ambivalenza della vita lasciando spazio al mistero, concedendo spazio all’invisibile come forse solo il cinema sa fare.
Giulia è una ragazza a testa in giù, come appare nella locandina del film, si muove a zig-zag sullo sfondo di paesaggi assolati e luminosi senza una meta predefinita ma ricercando la sua alterità, si ferma ai bordi delle strade per raccogliere e recuperare giocattoli che vengono abbandonati ai piedi dei cassonetti della spazzatura, li manipola, si lascia incuriosire, giocare e interrogare da essi. Giulia è forse una puella ludens.
Prova a fare l’animatrice in un centro anziani, gioca con loro, canta, balla. Incontra due ragazzi che l’accolgono nel loro appartamento e non la giudicano o etichettano come “strana”, ma le stanno accanto forse perché accomunati dalla sua stessa sensibilità, inafferrabilità e insicurezza.
Crediamo che Giulia sia un film necessario e importante per riequilibrare un immaginario unilaterale che punta senza tregua i riflettori sulle vite ideali di donne e uomini “arrivati”, riusciti, risoluti che esibiscono e creano le loro vite sui social media. È un film che disvela e disocculta le contraddizioni del reale, si lascia condurre dall’inquietudine esistenziale della ragazza che fluttua tra la crisi sanitaria, economica, personale.
Il regista si lascia stupire da ciò che accade e racconta la complessità, la problematicità e l’ambivalenza della vita lasciando spazio al mistero, concedendo spazio all’invisibile come forse solo il cinema sa fare.
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