La timidezza delle chiome

 





   “La timidezza delle chiome è il comportamento di alcune piante i                                  cui rami non si intrecciano mai per non farsi ombra”. 
                                                                                                            Michi

   

Antonello Turchetti, fotografo e direttore artistico del Perugia Social Photo Fest, durante un' intervista ha fatto notare come, negli ultimi dieci anni, nell’ambito della fotografia sia gradualmente aumentato l’interesse nei confronti della disabilità.
“La rappresentazione fotografica della disabilità si inserisce in un contesto più ampio: da diversi anni ormai stiamo assistendo a una sovraesposizione di immagini, perché chiunque oggi può considerarsi fotografo. All’interno di questa bulimia, in questa dimensione visiva ha trovato spazio anche la rappresentazione della disabilità come necessità di raccontare questa particolare condizione e di raccontarsi, rompendo talvolta dei tabù” (AA.VV., 2021, pag.73).
La disabilità sembra aver trovato spazio non solo nell’ambito della fotografica ma anche, riferendoci all’ambito visuale, nel cinema con la proposta di differenti generi di film (commedie, documentari, film d’animazione, cortometraggi), nel teatro dove si può assistere sempre più frequentemente a spettacoli che, esponendo il corpo con disabilità, mettono in scena e significano la vulnerabilità (D. D’Amico, 2014), nelle serie tv che spesso hanno per protagonista persone con disabilità o comunque compaiono nelle storie narrate e negli albi illustrati per bambini.
Ma come viene rappresentata la disabilità?
Non è questa la sede per affrontare approfonditamente tale argomento, ma ci vorremmo, qui, brevemente soffermare e portare all’attenzione le immagini che mancano, o che sono ancora poco numerose, in questa valanga iconica (Fontcuberta, 2018): immagini che rappresentano le persone con disabilità nella loro quotidianità, come vivono e si sperimentano nelle molteplici situazioni della loro vita e con quali modalità provano a fare le cose che fanno tutti.
Per esempio, suggerisce il fotografo Fabio Moscatelli (AA.VV., 2021), si rappresenta sempre la persona cieca con il cane guida e mai quando cucina, fa le pulizie, va al mare. Le immagini insistono e sottolineano solo gli aspetti deficitari, d’incapacità o di sofferenza, la disabilità come tragedia personale rinforza un atteggiamento pietistico o di esclusione e rifiuto di ciò che è differente. Oppure la disabilità viene ricondotta a un’immagine infantilizzata o ridotta a protesi tecniche che ne accentuano il suo stato di dipendenza e assistenza (Medeghini, 2015). Ancora, la disabilità viene spettacolarizzata quando vince le Olimpiadi o quando rivela capacità geniali e selettive dal punto di vista intellettivo generando forme di discriminazione nei confronti di chi non ha un corpo abile.
Questa lunga introduzione ci sembrava importante per sottolineare la necessità del film La timidezza delle chiome di Valentina Bertani, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e in sala dal 10 novembre.
Il film racconta le vite di due fratelli gemelli, con disabilità intellettiva. La telecamera racconta e mostra prima di tutto due persone, due ragazzi che, come tutti i ragazzi della loro età, vivono le emozioni contrastanti legate ai momenti di passaggio, due ragazzi che hanno anche una disabilità. Lo sguardo su Joshua e Benjamin sembra non essere mai intrusivo ma gioca con loro, li rincorrere, li aspetta, li osserva a partire da uno sguardo che è portatore di una visione culturale che dà impulso a processi inclusivi (Cinotti, 2021). (Mi chiedo, a mo’ di provocazione, perché tutte le belle e interessanti recensioni del film non provino a porre una certa attenzione al lessico, a un vocabolario che sia portatore di una visione culturale inclusiva e abbandonino per sempre le espressioni obsolete “affetto da”, “portatore di”, “persona con bisogni speciali”, “diversamente abile”, etc.)
La regista, insieme a Joshua e Benjamin, ci racconta le diverse possibilità di vita di una persona con disabilità e per farlo ha impiegato cinque anni, un tempo lungo e necessario per conoscere e farsi conoscere dai ragazzi, un tempo lento per imparare. I due fratelli sono due musicisti, uno batterista e l’altro trombonista, frequentano la scuola e sono alle prese con l’esame di maturità, stanno imparando a guidare, frequentano la sinagoga, vivono l’avventura del campeggio con i loro coetanei, desiderano conoscere l’amore e il sesso, provano ad entrare nell’esercito israeliano.
Joshua e Benjamin sono due ragazzi con una disabilità intellettiva che nella loro quotidianità vengono accompagnati non solo dai cosiddetti specialisti, ma soprattutto da adulti, genitori e amici, che li riconoscono come persone, riconoscono in Joshua e Benjamin la fragilità e la vulnerabilità che appartengono ad ognuno.
La timidezza delle chiome è un film corale che, come ha detto Josh durante la serata di presentazione del film al cinema Beltrade di Milano, ha cambiato i due protagonisti che, dopo aver fatto gli attori, si sentono ora cresciuti grazie alla fiducia di Valentina e di tutti gli amici del set.
Per concludere da dove siamo partiti, le immagini di questo film sono necessarie perché mancavano, perché usciti dal cinema sappiamo qualcosa in più di noi e sappiamo cosa Benji e Josh sono abili a fare.
 
 
Per approfondimenti
 
AA.VV. (2021), Guardami. Gli scatti più belli di SuperAbile, Anno X, Speciale 2021, Milano: Tipografia Inail.
Cinotti A. (2021), Sorelle e fratelli nella disabilità. Dimensioni esistenziali e scenari educativi, Brescia: Editrice Morcelliana.
D’amico D. (2014), Il corpo della vulnerabilità in Vulnerabilità/Resilienza, Elephant @Castle, n.10.
Fontcuberta J. (2018), La furia delle immagini: Note sulla postfotografia, Torino: Piccola biblioteca Einaudi.
Medeghini R. (a cura di) (2015), Norma e normalità nei disability studies. Riflessioni e analisi critica per ripensare la disabilità, Trento: Erickson.

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