Marghe e Giulia - Crescere in diretta
Nel testo La furia delle
immagini, il fotografo e scrittore Fontcuberta analizza, da un punto di
vista sociologico e antropologico gli effetti del dilagare delle immagini nella
nostra società ipertecnologica e ipermoderna e dei modi in cui l’immagine ci
riguarda e ci colpisce. Siamo immersi in un “mondo saturo di immagini, viviamo
nell’immagine, e l’immagine vive in noi e ci rende vivi”.
Il surplus di immagini in cui rischiamo di annegare, l’inquinamento iconico è incentivato non solo dallo sviluppo di nuovi dispositivi di cattura visiva, ma anche da un sistema panottico realizzato con le telecamere di sorveglianza, i sistemi di riconoscimento facciale, i dispositivi satellitari. Ma la vera novità, come suggerisce Fontcuberta, è la nostra evoluzione a Homo Photographicus: oggi tutti produciamo immagini spontaneamente e immediatamente, come una forma naturale di relazione con gli altri.
Il surplus di immagini in cui rischiamo di annegare, l’inquinamento iconico è incentivato non solo dallo sviluppo di nuovi dispositivi di cattura visiva, ma anche da un sistema panottico realizzato con le telecamere di sorveglianza, i sistemi di riconoscimento facciale, i dispositivi satellitari. Ma la vera novità, come suggerisce Fontcuberta, è la nostra evoluzione a Homo Photographicus: oggi tutti produciamo immagini spontaneamente e immediatamente, come una forma naturale di relazione con gli altri.
Diventa, quindi, urgente
interrogarsi sulla valanga iconica quasi infinita che ogni giorno ci travolge
rendendoci forse meno sensibili alle immagini e alla realtà o
forse incapaci di vivere senza fotografare, spinti dal desiderio impellente di
ricordare, di immortalare senza sosta la nostra vita per immagazzinarla nella
memoria virtuale dei nostri dispostivi, con il rischio, come dimostrano alcuni
studi, che "le persone che fotografano un’esperienza dimostrano in seguito di averne un
ricordo meno intenso e dettagliato rispetto a chi la vive senza filtri" (De
Silvestro, 2020).
Diventa urgente anche in ambito
educativo interrogarsi sugli effetti che questo nuovo ordine visuale ha sui
percorsi di crescita e formazione.
Il film documentario Marghe e
Giulia – Crescere in diretta, diretto da Alberto Gottardo e Francesca
Sironi, credo offra un’occasione imperdibile per provare a guardare
criticamente oltre le immagini. Proveremo ad assumere lo sguardo dei registi, che non giudicano ciò che riprendono ma testimoniano l’incontro con due
bambine, due sorelle di 9 e 12 anni, che abitano le immagini che producono e
che altri trecentomila bambini-follower abitano e consumano.
Marghe e Giulia, vivono a
Giuliano, un piccolo paese in provincia di Napoli e raccontano le loro vite in
diretta ai loro seguaci e segugi di Youtube, Instagram e altri social, attraverso
una sorta di video-diario. Ogni video è diretto verso una potenziale platea di
massa con l’obiettivo di narrarsi, esprimersi, esibire i loro talenti (come sottolinea
il papà), ottenere visualizzazioni ed empatia. Come ogni influencer intrattengono
gli spettatori con sondaggi (bici o divano?), condividono emozioni, rispondono
alle chat e agli haters, fanno appelli e nel frattempo pubblicizzano
prodotti.
I video che Marghe e Giulia producono,
anche con l’aiuto e il sostegno dei genitori, sono registrazioni
autobiografiche che testimoniano la loro presenza nel mondo. “Ogni fotografia è
un certificato di presenza”, sosteneva Roland Barthes (2003, p.87) e il selfie
certifica la presenza delle due bambine a eventi speciali, per strada o in un
locale insieme ai fan, nella loro cameretta mentre condividono segreti con le
amiche dissolvendo il confine tra il privato e il pubblico.
Se la fotografia nasce come arte
della persona e della sua identità (Barthes, 2003), in che modo viene modellata
l’identità in funzione della rete di connessioni e vincoli dello spazio di
internet? Come il cyberspazio costruisce il soggetto e le relazioni all’interno
della società? I video, i selfie aiutano a essere coscienti del mondo e di sé
o la macchina fotografica è diventata uno stratagemma in più per controllare il
corpo e perpetuare la distorsione della propria immagine?
Cosa significa crescere in
diretta? Cosa significa raccontarsi nell’istantaneità, nell’immediatezza senza la
possibilità di sostare in un tempo vuoto di silenzio e di rielaborazione? Che
effetti ha sulla conoscenza l’accelerazione con cui si devono prendere le decisioni?
Cosa significa pensare che tutto
ciò che non è fotografato o ripreso è perduto, che è come se non fosse
esistito? Cosa significa considerare ogni momento della propria vita
fotografabile o vivere in modo quanto più fotografabile? (Calvino) Che tipo di
pressione esercita sul soggetto la massificazione delle immagini?
Sono solo alcune delle domande che la
visione di questo film documentario ha suscitato e che ci interrogano implacabili
di fronte all’ipervisibilità a cui sono esposte Marghe e Giulia.
Per approfondimenti
Barthes R. (2003), La camera
chiara. Note sulla fotografia (1980), Torino: Einaudi
Calvino I. (2002), Gli amori difficili (1993), Milano: Mondadori.
De Silvestro (2020),Fotograferemo tutto e saremo incapaci di ricordare ciò che conta davvero, predisse Calvino nel 1970 (thevision.com)
Fontcuberta J. (2018), La furia delle immagini: Note sulla postfotografia, Piccola biblioteca Einaudi.
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