Lasciate che vi parli di foglie

 


È la dimensione estetica dell’incontro che rende possibili apprendimenti gioiosi e contagiosi, presupposto fondamentale di un’alleanza sentimentale con la Natura, senza la quale, teniamolo presente, non c’è avvenire.
Stefano Sturloni

Ho conosciuto Stefano Sturloni durante le riunioni del comitato redazionale della rivista Bambini, nello spazio virtuale che offre la grande opportunità di riunire e vedere, con continuità e facilità, persone che provengono da diverse regioni italiane.
Quando ho conosciuto Stefano ho provato, da subito, curiosità per una persona che partecipava silenziosamente e discretamente, una presenza umile, come una foglia, talvolta turbato dalle richieste che gli venivano fatte perché diceva che avrebbe dovuto impegnarsi a scrivere un libro, come se gli fosse stata affidata una grande responsabilità.
Dopo alcuni anni, quel libro è finalmente tra le mie mani e non appena ho iniziato a leggerlo mi sembrava di sentire la sua voce esitante e appassionata introdurre la necessità di questo testo che avvicina all’incontro con la bellezza e con l’anima del mondo, che approfondisce, senza pedanteria o il rigore scientifico di un manuale di botanica, la conoscenza di ogni foglia osservata, toccata, annusata, ascoltata. Come scrive Monica Guerra nell’introduzione, Sturloni “allestisce banchetti di sapere senza tuttavia ingozzare di contenuti, ma invitando a percorrere insieme una strada lastricata di oggetti affascinanti, facendo crescere a ogni passo la sete di conoscenza dell’altro” (p.9).
Procedendo tra le pagine lungo strade, sentieri, boschi, prati, parchi, giardini, sostando e inciampando nell’inatteso o nel covo di meraviglie che è l’ovvio, ci ritroviamo stupiti e incantati dalla miriade di forme delle foglie e dalla variabilità dei loro margini, dalla “loro piattezza taciturna, umile, essenziale” (p. 18), dai loro legami e interazioni sorprendenti con il mondo.
Sturloni conduce il nostro sguardo a vedere, esplorare, interrogare la complessità della vita come hanno fatto i bambini che hanno partecipato alle esplorazioni in natura e sono coinvolti nel testo come co-autori e co-ricercatori. E inoltrandoci gradualmente nel verde di un libro che accosta esteticamente il testo a immagini, fotografie e disegni, la presenza dell’autore si fa sottile, attenuando il culto della personalità che circonda uno scrittore o un artista (come rammenta McEwan nel testo Invito alla meraviglia); più ci si addentra nell’aperto più l’ego perde i suoi confini per riconoscersi come ospite e partecipe del cosmo, foglia tra le foglia.
Sturloni gioca con le foglie, ma sapientemente non propone nel testo laboratori didattici o lavoretti, ma come il protagonista del cortometraggio “I giochi di Bruno” (girato nel 2008 e liberamente ispirato a un racconto di Bruno Munari), si dedica alla distrazione osservativa (p.17), a un’osservazione minuta, attenta e meticolosa (come indica Antonacci) di ciò che il suo sguardo mai affrettato e superficiale, ma dotato di acume e delicata capacità di cura dei particolari, incontra e scopre.
A nostro parere Sturloni ha risposto egregiamente al compito che gli era stato affidato, forse si è anche molto divertito come si percepisce dalla passione che emerge da ogni pagina, e si è assunto la responsabilità di educare lo sguardo di ogni lettore all’esplorazione, ad ampliare i confini del fuori, a cogliere la bellezza, “una bellezza ubiqua e priva di costi, se non quello di lasciarci tra i pensieri uno strano senso di vertigine” (pag. p.21).
 

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