Il cerchio di Sophie Chiarello
Il cerchio viene istituito, uno dei
primi giorni della scuola primaria, per condividere il pensiero di un bambino
che aveva scoperto come trasformare i sogni in realtà. Il cerchio, come il
teatro, è il luogo dei sogni che ci approssimano alla verità, concede ai
bambini “il diritto di riconoscere la qualità dei propri
pensieri e rendersi conto della loro profondità” (Lorenzoni, 2014, p.11).
Il cerchio è uno spazio curvo,
chiuso e regolare che trasmette pace, dolcezza e sicurezza, è “un rifugio naturale”
ricercato e desiderato che interrompe le traiettorie geometriche, ordinate e
omologanti dell’aula scolastica, è un tempo che si ripete, che ha il potere di
essere moltiplicato indefinitamente e abolisce il tempo nella ritualità
(Durand, 1972).
Il cerchio è uno spazio speciale,
magico, dove i bambini si riuniscono solo per il piacere di incontrarsi, dirsi,
raccontarsi, scoprirsi e scoprire gli altri (Antonacci, 2019). É una radura, un luogo in cui
sostare per guardarsi in volto senza dare le spalle ai compagni, è un tempo di
sospensione dal baccano del mondo e dal procedere incalzante del “programma da
finire”. È un tempo di silenzio, che non viene imposto come punizione o ricatto,
ma che consente l’ascolto di sé e del gruppo, l’espressione della libertà nel
rispetto di ognuno e nel rapporto di interdipendenza con gli altri e il mondo,
rigenera l’attenzione, favorisce il benessere e la ricerca della propria
identità. Il cerchio è un tempo di attesa, denso di concentrazione, di
partecipazione, di desiderio che riunisce nella pienezza, nello stupore, nella
condivisione.
Il cerchio, alla fine del film in
corrispondenza della pandemia da Covid-19, si trasforma necessariamente in un’altra
figura, sempre chiusa ma rettangolare e delimitata dallo schermo del pc di ogni
partecipante. La cinta quadrata, come suggerisce nuovamente Gilbert Durant, “porta
l’accento simbolico sui temi della difesa dell’integrità interiore” (1972, p.249)
e diventa fondamentale per rimanere in contatto con i pensieri profondi e
sottili dei bambini.
Pensare e istituire il cerchio significa, allora, aver cura di sè, dell’altro, del gruppo e dell’esperienza educativa, significa aver cura di offrire quelle esperienze che facilitano i bambini nell’assumersi la responsabilità di dare forma al proprio modo d’esserci, che muovono “il desiderio di apprendere le pratiche necessarie alla ricerca di ciò che è irrinunciabile per autenticare il proprio tempo” (Mortari, 2019, p.13).
“Coltivare una simile postura può portare ad aver cura dell’esperienza educativa in modo tale che, attraverso di essa, i soggetti coinvolti possano imparare ciò che può aiutarli ad affrontare nel miglior modo possibile i compiti e le situazioni che la vita impone, esplorando e diventando agenti di cambiamento non solo nei propri confronti, ma anche dei loro ambienti di vita (Guerra, 2019). Le esperienze proposte, in tal senso, possono diventare fattori di capacitazione, ovvero condizioni che consentono a chiunque di scoprire ed esercitare capacità anche impensate, di riconoscere i propri limiti ma anche di agire, quotidianamente, quei diritti umani che altrimenti sarebbero loro preclusi (Sen, 1993)” (Palmieri, 2022, p.28).
Durand G. (1972), Le strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, Bari: Dedalo.
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