Misericordia di Emma Dante

 

«Arturo è una creatura un po' animale, un po' umana, straordinaria, è il vero idiota, quindi, è quello più vicino a Dio».

Così Emma Dante ha presentato il protagonista del suo ultimo film Misericordia, che ieri abbiamo avuto il privilegio di vedere in anteprima al Cinema Beltrade di Milano e che sarà in sala a partire dal 16 novembre.

Non vi racconteremo la sinossi del film perché non è così importante in un’opera cinematografica dove il visivo sporge sul narrativo, dove le immagini sonore e scricchiolanti acquistano un primato sulla narrazione.

Immagini che si impongono alla nostra sensibilità con la loro materialità che diventa interrogazione, immagini enigmatiche, perturbanti, che danno dà pensare. Immagini che presentano uno scorcio di mondo che sta ai margini, incastonato tra una montagna ruggente e un mare accogliente, presentificano qualcosa che ci sfugge, che è sacro, che è connesso con un’esperienza altra, con ciò che è invisibile, che è spirituale, dice Wim Wenders, e che genera conoscenza, senza essere mai prescrittiva.
Immagini sempre in movimento così come è il movimento claudicante, incerto, ripetitivo, stereopitato e rassicurante di Arturo.

Arturo è straniero al linguaggio, agisce le sue emozioni ma non è privo di emozioni, è una creatura androgina che indossa un vestito a maglia mal fatto, stabilisce un contatto animato e immediato con le cose, i bambini, gli animali e il mondo. Arturo è una figura angelica che lascia sulla sabbia, muovendosi come se stesse volando sulla terra, la sua impronta invisibile e leggera.

In questo senso si può dire che “ha conservato in sé il bambino”, non perché abbia conservato innocenza e ingenuità (stranamente ci piace immaginare che i bambini siano innocenti), non perché non sia stato addomesticato dalla cultura, ma perché nell’asciuttezza del suo mestiere, ha tessuto insieme logiche parallele o piuttosto gemelle, senza sostituire l’una con l’altra (Barba, 1993, p.141).

Arturo è amato e odiato, è desiderato e respinto. Le donne che si prendono cura di lui lo rispettano, riconoscono la sua dignità e per questo lo fanno deragliare (Deligny, 1978), uscire dalle rotaie che lo condannano a vivere tutta la vita confinato in un microcosmo soffocante, povero, violento. Non sappiamo cosa attende Arturo, sicuramente un suo “tempo per andar lontano”, come canta la voce di Claudio Baglioni che crea lo spazio vuoto per la fine, per salutare Arturo.


Per approfondire
Antonacci F., Rossoni E. (2016), Intrecci d’infanzia, Franco Angeli, Milano.
Barba E. (1993), La canoa di carta, Il Mulino, Bologna.
Deligny F. (1978), I ragazzi hanno orecchie, Emme Edizioni, Milano.
Porcheddu A. (a cura di) (2006), Palermo dentro. Il teatro di Emma Dante, Editrice Zona, Civitella di Val Chiana (Ar).

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