Un libro. Un film. Microgesti di cura


“Nel punto in cui mi trovo, non posso essere né quello che sono sempre né trasformarmi in quello che potrei essere” (pp. 9-10).

Spesso ci arrovelliamo in discussioni intellettuali per stabilire connessioni o individuare divergenze tra le opere letterarie e quelle cinematografiche, per decidere a quale delle due opere valga la pena accostarsi primariamente. Che si arrivi dai libri ai film o dai film ai libri, forse, poco importa. Ciò che conta è aprirsi all’opportunità di incontrare opere che interrogano, magari turbano ma sicuramente arricchiscono lo sguardo e l'immaginario di chi opera quotidianamente nei contesti di cura educativa.

Così è capitato, in questi giorni, di leggere il breve romanzo “Un’estate” di Claire Keegan (edizioni Einaudi) che, in modo inatteso, mi ha trascinata in un mondo già conosciuto, mi ha trasportata nelle immagini cinematografiche del film “The Quiet Girl” di Colm Bairéad (2022), visto lo scorso anno, una domenica mattina all’ora di pranzo, al cinema.

Il libro e il film sono due opere preziose che ci restituiscono l’esperienza della cura che è un’esperienza, come ci insegna Palmieri (2011), di cui aver cura. Un’esperienza fatta di microgesti, micromovimenti che si dispiegano cauti e decisi nella quotidianità, fatta di parole e silenzio, vicinanza e lontananza, passato, presente e futuro. Un’esperienza che genera una nuova sensazione di benessere che non fa più sentire sbagliati, giudicati, fuori luogo, minacciati.

Una bambina e un adulto compiono un breve tratto di strada insieme, non è sempre chiaro chi sia la guida e chi la persona accompagnata: sulla spiaggia, al chiarore della luna, i due trovano solo le impronte della bambina come se l’adulto fosse stato portato in braccio, e non viceversa.

“Mentre torniamo lungo il sentiero e attraverso i campi, io con la mano nella sua, ho la sensazione che stia in equilibrio grazie a me. Se non ci fossi, sono sicura che cadrebbe. Chissà come fa quando io non ci sono, e poi mi dico che probabilmente di solito porta due secchi. Cerco di ricordarmi di un’altra volta in cui ho avuto la stessa sensazione e sono triste perché non riesco a ricordarmela, e anche felice perché non ci riesco” (p.21).

La cura costituisce la qualità essenziale della condizione umana, suggerisce Mortari (2019) e l’esperienza educativa è sempre un’esperienza di cura di sé e dell’altro, una cura reciproca che consente di scoprire capacità e risorse impensate, di ritrovare la voce e ritrovarsi o rimanere in silenzio, in ascolto di sé, degli altri e del mondo.

“Non devi sentirti costretta a parlare, - dice. – Non devi farlo per forza, ricordatelo. Sono in tanti a rimetterci solo perché hanno perso un’ottima occasione per stare zitti” (p.53).

Per approfondire
Keegan C. (2023), Un’estate, Torino: Einaudi.
Mortari L. (2019), Aver cura di sé, Milano: Raffaello Cortina.
Palmieri C. (2011), Un’esperienza di cui aver cura. Appunti pedagogici sul fare educazione, Milano: FrancoAngeli.

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