Diario di un brutto anatroccolo
Che cosa succede se il corpo
esposto in scena è un corpo con disabilità?
Questa domanda, stimolata dal saggio “Il corpo della vulnerabilità” di Dalila D’amico (2014), è tornata a interrogarci dopo la visione di Diario di un brutto anatroccolo, messo in scena, dal 2016, da Factory Compagnia Transadriatica (https://www.compagniafactory.com/). Uno spettacolo di teatro-danza realizzato con attori con e senza disabilità che racconta il percorso di formazione e trasformazione dell’identità di un piccolo cigno e di ciascuno di noi. Un percorso mai lineare e spiraliforme segnato da ferite, non sempre visibili, che possono essere accolte o respinte, rielaborate e superate o che possono bloccare il cammino. L’arte è spazio liminale di trasmutazione del reale e delle ferite che apre alla possibilità di ri-significare il mondo e noi stessi.
Cosa succede se il corpo in
scena è un corpo che espone la propria fragilità?
Non si tratta di spettacolarizzare la
disabilità, come succedeva nel 1800 nei freakshows che esibivano l’alterità
come bizzarria e “stravaganza della natura” (D’Amico, 2014, p.8) o come succede nella contemporaneità
in quella che l’attivista australiana Stella Young definisce inspiration
porn, “la rappresentazione della disabilità oggettivata come fonte di
ispirazione per le persone abili” (Valtellina in Olivier, 2023, p.10).
Il corpo fragile del piccolo cigno, creduto anatraccolo, è talvolta impacciato e tecnicamente imperfetto ma eloquente e autentico, trascina sulla sua pelle i discorsi e i significati inscritti dalla nostra tradizione culturale ma presenta anche il proprio modo di vivere e sentire la vulnerabilità. Non esibisce l’alterità ma si fa veicolo di altre significazioni possibili, impalpabili e inafferrabili, è “soglia di passaggio tra l’interno e l’estero, apertura verso il mondo e lo spettatore, costituito a loro volta della stessa sostanza del corpo degli artisti” (ivi, p.11).
Gli spettatori sono i bambini che guardano
la diversità non come anormalità ma come espressione dell’irriducibile complessità
e varietà dell’esistente. Gli spettatori sono persone con disabilità che hanno finalmente
la possibilità di partecipare alla vita culturale e artistica (art. 31,
Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia, 1989) condividendo l’esperienza di andare a teatro per vedere uno spettacolo reso fruibile e accessibile
attraverso alcuni facilitatori che la Compagnia mette a disposizione per
prepararsi alla visione (la sinossi della storia scritta in modalità facilitata
e tradotta in simboli della Comunicazione Aumentativa Alternativa, un video che
mostra il percorso per entrare a teatro e in sala). Gli spettatori siamo tutti
noi che assistiamo a un “momento della verità” (Barba, 1993) che turba il
futuro perché sconquassa il modo di fare teatro e il modo di abitare il mondo
trasgredendo i dualismi insiti nella nostra cultura, abbracciando gli opposti e
valorizzando le differenze.
Barba E. (1993), La canoa di carta, Bologna: Il mulino.
Commenti
Posta un commento